Reato di diffamazione.

La comunicazione con più persone è elemento costitutivo del reato di diffamazione ma non occorre che la propalazione avvenga simultaneamente essendo irrilevante l’intervallo di tempo, più o meno lungo, tra le singole comunicazioni (nella specie trattavasi di diffamazione commessa con l’invio di una lettera a più persone le quali l’avevano ricevuta in tempi diversi. Corte di Cassazione, sez. pen. 5^, sent. 19 giugno 2000, n° 7179).

Ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di diffamazione è sufficiente il dolo generico e, cioè, la consapevolezza di ledere l’onore o la reputazione di un altro soggetto. Peraltro, quando il carattere diffamatorio delle espressioni rivolte assuma una connotazione diffamatoria intrinseca che non può sfuggire all’agente, il quale le ha anzi usate proprio per dare maggiore efficacia al suo dictum, nessuna particolare indagine sulla ricorrenza o meno dell’elemento soggettivo del reato si presenta necessaria (Corte di Cassazione, sez. pen. 5^, sent. 27 giugno 2000, n° 7517).

Nell’accertamento dell’elemento soggettivo della diffamazione sono irrilevanti l’intenzione, lo scopo, le particolari finalità, le motivazioni dell’agente, giacché l’articolo 595 cp non esige il dolo specifico, essendo invece sufficiente che sussista quello generico, inteso come coscienza e volontà della condotta, cioè della comunicazione dell’addebito offensivo ad almeno due persone, con la consapevolezza dell’idoneità delle espressioni adottate a menomare apprezzabilmente la reputazione del soggetto passivo (Corte di Cassazione, sez. pen. 5^, sent. 25 gennaio 2002, n° 297).

Il bene giuridico tutelato dall’articolo 595 cp va individuato nell’opinione e nella stima di cui gode un soggetto in un determinato ambiente, con riferimento alle qualità personali, fisiche, intellettive, professionali, o altro; pertanto, la reputazione non va né identificata né confusa con la considerazione che ciascuno ha di se stesso e del proprio valore, ma si ricollega alla considerazione sociale dell’onore della persona (Corte di Cassazione, sez. pen. 5^, sent. 17 settembre 2002, n° 3).

Ai fini della configurabilità del reato di diffamazione, la comunicazione con più persone si realizza anche quando le notizie o le frasi offensive siano comunicate a una sola persona, purché questa le riferisca ad almeno un’altra persona che ne abbia poi effettiva conoscenza (nella fattispecie, l’elemento della comunicazione a più persone è stato ritenuto in relazione a una lettera, pur inviata «in doppia busta chiusa» a un solo destinatario, ma con la sollecitazione di un inoltro ad altra autorità, poi effettivamente avvenuto. Corte di Cassazione, sez. pen. 5^, sent. 21 luglio 2004, n° 31728).

In tema di diffamazione, non occorre che l’offeso sia nominativamente indicato, ma è sufficiente che in base alle indicazioni fornite egli possa venire individuato in maniera inequivoca; né rileva che, in concreto, l’identità del predetto possa essere percepita solo da un numero ristretto di persone (Corte di Cassazione, sez. pen. 5^, sent. 6 maggio 2008, n° 1823).

In tema di diffamazione a mezzo stampa, sussiste l’esimente del diritto di critica quando le espressioni utilizzate consistano in un’argomentazione che esplicita le ragioni di un giudizio negativo collegato agli specifici fatti riferiti e non si risolve in un’aggressione gratuita alla sfera morale altrui (nella specie, un condomino aveva distribuito dei volantini in cui l’amministratore era stato paragonato a Pinocchio, dandogli, con implicita ma chiara allusione, del bugiardo. Corte di Cassazione, sez. pen. 5^, sent. 27 maggio 2016, n° 41785).