La multiforme natura giuridica della confisca.

Il codice Rocco del 1930, all’articolo 240, disciplina la confisca definendola una misura amministrativa di sicurezza, alla quale è estranea ogni aspetto di carattere retributivo, ma anche ogni funzione preventiva, generale e speciale, nonché ogni funzione di contenimento della pericolosità delle singole persone. La confisca, specificamente, è misura che il giudice penale può o deve adottare al fine di evitare che la libera disponibilità di determinati beni possa costituire pericolo per la pubblica sicurezza. Per questo l’art. 240 c.p. prevede l’ablazione del corpo del reato, delle cose che servirono o furono destinate a commetterlo, che ne sono il prodotto, il profitto, il prezzo, ovvero delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione delle quali costituisce reato.
La confisca, oltre ad essere misura di sicurezza patrimoniale, è anche misura idonea a contenere la pericolosità delle persone, applicabile al di fuori di un legame di pertinenzialità tra bene e reato. Questa tipologia di confisca trova ampio uso in materia antimafia ove, a seguito dell’innalzamento della pericolosità criminale delle associazioni di tipo mafioso, la L. 13.9.1982, n° 646 (Legge Rognoni-La Torre), innovando la L. 575/1965 (<< Disposizioni contro la mafia >>), che a sua volta ha esteso l’ambito applicativo della L. 1423/1956 (<< Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità >>), introduce, ex artt. 2 bis e 2 ter, la confisca patrimoniale di prevenzione, estendendola anche ai beni del proposto di cui ha la disponibilità per interposta persona. Nel corso degli anni ’90, a seguito delle riprovevoli stragi di Capaci e via D’Amelio, il Legislatore, poi, inasprisce le norme in materia di confisca, al fine di sottrarre alle mafie patrimoni utili al finanziamento delle attività illecite: essa, se è consentita in presenza di “sufficienti indizi” sull’esistenza della provenienza illecita dei beni, criterio basato sulla “sperequazione” tra tenore di vita e redditi dichiarati o apparenti, ora è disposta anche a seguito della riconosciuta “sproporzione” tra il reddito dichiarato o l’attività economica svolta dal proposto e il valore dei beni di cui egli ha la disponibilità, diretta o indiretta. Oggi la disciplina della confisca in materia di prevenzione è tutta raccolta nel Codice antimafia (D.Lgs. 6 settembre 2011, n° 159), al quale va il merito di aver marcato l’indipendenza delle misure di prevenzione patrimoniali dalle misure di prevenzione personali, ove all’articolo 18 specifica che le misure patrimoniali possono essere applicate indipendentemente dalla pericolosità sociale del soggetto al momento della proposta, riprendendo quanto sancito dalla riforma legislativa degli anni 2008 e 2009, che ha abbandonato il principio per il quale non poteva disporsi alcuna misura di prevenzione patrimoniale se la persona che aveva la disponibilità della res non fosse valutata pericolosa. L’autonomia delle due tipologie di misure di prevenzione, personale e patrimoniale, rende oggi possibile il sequestro e la conseguente confisca anche nell’ipotesi in cui non sia pendente una misura di prevenzione personale, perché, ad esempio, ne è cessata l’esecuzione ovvero non sia più attuale la pericolosità del proposto, determinando il passaggio da un approccio basato sulla pericolosità del soggetto a quello fondato sull’acquisizione illecita del bene da parte di persona che è o è stata pericolosa. 
Il Legislatore, dunque, circoscrive due forme di confisca, quella ordinaria (disciplinata dal codice penale), che impone o consente l’ablazione di ogni oggetto connesso alla commissione di un reato, e quella di prevenzione, che impone la confisca di tutti i beni che, al di fuori di un collegamento con la consumazione di un reato, possano ritenersi legati alla commissione di un generico coacervo di condotte, anche penalmente irrilevanti.
Il Legislatore, successivamente, sulla falsariga del modello della confisca di prevenzione, innova la confisca ordinaria normando l’istituto della confisca per sproporzione, ex art. 12 sexies, d.l. 8.6.1992, n° 306, che prevede l’ablazione obbligatoria, in relazione a una determinata classe di reati, del denaro, dei beni e delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica e giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità in valore sproporzionato al proprio reddito dichiarato ai fini delle imposte sul reddito o alla propria attività economica. In questo ordine, si allenta il legame con i beni intrinsecamente pericolosi ovvero connessi, anche indirettamente, alla commissione di un reato e si rafforza il connotato meramente punitivo della confisca. Il Legislatore, ora, pensa la confisca come strumento di sanzione patrimoniale che segue la sanzione penale, discostandola dalla connotazione tradizionale di misura amministrativa di sicurezza. La confisca diviene strumento di punizione, conseguente al reato, che non incide sulla persona nell’ambito della sua sfera di libertà personale, ma nell’ambito della sua sfera meramente patrimoniale.
Non soddisfatto dello stravolgimento della natura giuridica della confisca il Legislatore ne amplia ulteriormente la portata, introducendo la categoria della confisca per equivalente. In questa direzione ha sancito la confisca obbligatoria di somme di denaro, beni ed utilità di cui il colpevole ha la disponibilità, anche per interposta persona, per un valore corrispondente al profitto o al prodotto del reato, se non è possibile eseguirne l’ablazione diretta. Siffatto tipo di confisca prende alcuni elementi della confisca ordinaria per sproporzione, quale la disponibilità dei beni da parte del reo anche se a lui non formalmente intestati, nonché la mancanza del rapporto di pertinenzialità tra beni e reato. La confisca per equivalente condivide con la confisca per sproporzione, così, il profilo marcatamente retributivo, in quanto misura disposta in assenza di un collegamento tra beni e reato ovvero di beni intrinsecamente pericolosi, di cui il reo abbia la disponibilità, sicché di essa risulta accentuato il carattere punitivo, tanto da poterla qualificare vera e propria sanzione penale patrimoniale.
Ricostruita la confisca nei termini sopra esposti è possibile allora concludere che essa, inizialmente pensata quale misura di sicurezza patrimoniale per tutelare la sicurezza pubblica contro beni intrinsecamente pericolosi, è stata arricchita di un’ulteriore funzione, ossia di minaccia con finalità dissuasiva, caratteristica propria della sanzione penale in chiave general preventiva.
Una lettura della moderna confisca è stata offerta anche dalla Corte europea che, in virtù del noto brocardo “nulla poena sine lege”, sancito nell’art. 7 Cedu, ha affermato: “lo strumento ablatorio si collega ad un illecito penale fondato su principi generali e non tende alla riparazione pecuniaria di un danno, ma ad impedire la reiterazione della inosservanza delle prescrizioni, quindi, ha natura ad un tempo preventiva e repressiva, e quest’ultima è una caratteristica che contraddistingue le sanzioni penali” (Cedu, 20.1.2009, Sud Fondi srl c. Italia, GI, 2009, 2398).
Analogamente la Corte costituzionale, nelle sue varie pronunce (tra cui ordinanza 2.4.2009, n° 97) ha stabilito che, in materia di confisca per equivalente, la mancanza di pericolosità del bene, unitamente all’assenza di un rapporto di pertinenzialità tra reato e detti beni, conferiscono alla misura ablatoria un carattere “eminentemente sanzionatorio“, che impedisce l’applicazione del principio dell’efficacia retroattiva delle misure di sicurezza sancito nell’art. 200 c.p., dovendo invece osservarsi la regola dell’irretroattività, di cui all’art. 25 co. 2 Cost., valida per le sanzioni penali.
La Corte di cassazione a Sezioni Unite (sentenza del 6.10.2009, n° 38691), nel condividere il pensiero del Giudice delle leggi, rimarca che la logica della confisca per equivalente, innanzi all’impossibilità di aggredire il bene diretto, è quella di privare il reo di qualunque beneficio economico derivante dall’attività criminosa, valorizzando la funzione dissuasiva di tale misura, che inevitabilmente assume i connotati di una vera e propria sanzione penale. La successiva giurisprudenza, adeguandosi alla pronuncia delle Sezioni Unite, ha sottolineato che tale misura ablativa, dal carattere penale, oltre a non poter essere applicata retroattivamente, non può essere applicata nemmeno in caso di estinzione del reato. Tuttavia, non sono mancate posizioni giurisprudenziali di diverso avviso: la Corte di legittimità (Cass. pen., sez. II, 25.5.2010, n° 32273) ha affermato, infatti, che in caso di estinzione del reato al Giudice devono essere riconosciuti pieni poteri di accertamento, non solo in ordine alle cose intrinsecamente pericolose, ma anche per quelle considerate tali dal Legislatore per il loro collegamento con uno specifico reato. L’art. 240, co. 2 c.p., nel prescrivere “è sempre ordinata la confisca“, vuol intendere che essa va sempre disposta, al di là di una sentenza di condanna, diversamente da quanto prescritto al co. 1 del medesimo articolo, che richiama invece l’ipotesi della confisca facoltativa; ne consegue che il prezzo del reato, ex art. 240 co. 2 c.p., deve essere confiscato, sempre, anche in caso di estinzione del reato, e tale principio deve valere anche per l’ipotesi della confisca prevista dall’art. 12 sexies. In tal modo sarà garantita la finalità repressiva della confisca, in tutti i casi in cui è obbligatoria, nel rispetto della ratio della norma che è quella di evitare che chiunque possa ricavare utilità da reati precedentemente commessi.